di Marco Occhiuto, III C
«I poeti non hanno pudore delle proprie esperienze intime: le sfruttano.»
(Nietzsche)

Qui in riva al mare è un disfarsi
di cose, d’onde, di memorie.
Di sisifici castelli non resta
che puerile schiera di scorie.
E la luna nessun amore desta,
in scaglie di mare tremolanti.
Inutilmente (se non può più amare…)
irretita tra nubi lontananti –
Inutilmente (se non può più amare…)
è musa (se non può più ispirare)
di solitari, e remoti, pescatori.
Le onde suonando scompaiono
le corde della mia stanchezza.
Le onde scandendo se ne vanno
il ritmo dell’arrendevolezza.
A che spira? a che sussurra la brezza?
le pagine sfogliando dell’inganno?
Non so se mostri marini o vite
arcane immaginose favolose
dormano silenti tacite irretite
nel seguito dei flutti e delle cose…
se nel nastro infinito delle onde,
condannate, non so se liete o tristi,
ad ansimare eternamente; se fronde
o alberi o alghe – del paesaggio artisti
dell’estate – hanno, dentro sé, traccia
di un tramonto, di un patto, di un sorriso.
Ora è il niente, nell’asserparsi d’onde,
di misteri, di cimase; né nel viso
o nell’iride mai cade l’istante
cadente d’una stella! Nella lontanante
linea che fonde azzurro e azzurro
(e che adesso riga il battito celeste),
non colori non immagini non sogni,
soltanto valzer malinconici di foglie
soltanto astio di giovanili doglie;
posate qua nel ramo secco al mare,
là sulla canoa logora scarlatta.
Nei nastri del vento, nelle gare
delle mosche e degli oggetti di latta
alla corrente.
Su cime d’onde i miei pensieri –
certamente mente
l’illusione (acerba, diafana) di ieri;
lontano tremolii d’echi di mare
proiezioni di luci di rami di cose,
vibrazioni di suoni e altalenare
di barche, di rotti pezzi di rose.
L’estate è un sogno e a scansioni
invecchia il mito della giovinezza.
Un altro anno se ne va tra le illusioni –
A che la beltà, la speranza, l’ebrezza?
se io non so come si vive?
Spiaggia vuota sinuosamente segue
la linea rotta di torri e di castelli
e più buia e più selvaggia e più sola
si ritrae, e mareggiando i ritornelli
intesse dell’inganno e del dolore.
A che l’oro, i tramonti, a che l’amore?
se la vita è danza e io non so danzare?
Il campo è vuoto; e a nessun corpo
si avvinghiano le onde; le cicale
cantano soltanto per me; e il canto
è vita e la vita è sogno; ma sognare
non vale, se in nessun fittizio manto
naufraga il sogno. Ma prima del tempo,
come si troncano i canti al fragore
sordo delle onde, come nel vento
tacciono le voci e i sibili d’amore,
così il mio sogno è già interrotto.
Inutilmente (se ormai il sognare è noto),
mi cullano le onde, lente altalenanti;
inutilmente (se l’incanto è rotto), vanno
al vento stormi neri lontananti,
a ricordare che l’estate viene e va.
L’anello che non tiene non compare
negli intermezzi delle onde; non nelle
spente lusinghe dell’amore; e appare
adesso lunga e vana l’attesa delle
esperienze nuove e degli incontri.
La spiaggia è la stessa; e il mare uguale.
Nei secoli al mutare non è mutato
delle onde; e là c’è ancora, brutale,
sulla riva il ramo con cui hai scritto
addio. Come quelle sillabe che l’acqua
ha cancellato, come lo sguardo fitto
sul tramonto estinto, i miei pensieri
si perdono si lacerano si lasciano;
nell’andare infinito del tempo, cos’è
mai la mia vita? Cupe si sfasciano
le frasche; e il tuo ricordo è in me.
Il mare è uguale; e la spiaggia anche.
I profumi son quelli, la canoa è lì.
Ma tu sei partita, e l’amore anche.
Danzano intanto le onde; e assieme vi
si muovono frammentate luci
e vi soffocano antiche melodie.
La brezza invade odorose le vie
di casa e del mio cuore; valzer
di foglie – balletti di petali di rose.
Sì: la vita è danza … la vita è danza!
La vita è danza, e io non so danzare.