di Veronica Angelini, II G
“Ultime lettere di Jacopo Ortis”, è un romanzo epistolare di Ugo Foscolo, pubblicato nel 1802, in pieno Risorgimento. La vicenda trae spunto sia da un modello letterario, sia da un fatto realmente accaduto, ovvero il suicidio del giovane Girolamo Ortis.
Nello scrivere questo romanzo, Foscolo ha preso ispirazione da “I dolori del giovane Werther” di Goethe, e tra le due opere possiamo notare somiglianze e differenze.
Jacopo Ortis è un giovane che ha combattuto nell’esercito napoleonico, ma che, dopo il trattato di Campoformio (secondo il quale Venezia passava agli Austriaci), è costretto a lasciare la sua città natale, appunto Venezia, per trasferirsi sui Colli Euganei, dove può dedicarsi allo studio.
Scrive infatti:
«Ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. (lettera dell’11 ottobre 1797)».
Notiamo già due tematiche: l’amore verso la patria (in quanto Jacopo aveva avuto fiducia verso Napoleone, rimanendo poi deluso) e la passione verso la cultura. Quest’ultimo punto caratterizza anche Werther, il quale passa le sue giornate tra i libri.
Jacopo è triste per la situazione della sua patria, ma riesce a trovare conforto grazie all’incontro con Teresa, una giovane ragazza di cui conosce tutta la famiglia, e della quale pian piano si innamora.
La donna, dunque, assume un ruolo di “ancora di salvezza”, che con il tempo diventa causa di un dolore ancora più forte.
Anche Teresa è in una situazione particolare, in quanto è costretta a sposare Odoardo, un uomo che non ama, ma al quale è stata promessa sposa per motivi economici.
Abbiamo dunque un’analogia con Goethe: sia Teresa che Charlotte sono promesse spose a un uomo ricco e benestante che potrà mantenerle, ma entrambe sono infelici, in quanto non sono certe di amarli.
In una lettera a Lorenzo, Jacopo descrive così il suo amore per la giovane:
«Sì, Teresa, io vivrò teco; ma io non vivrò se non quanto potrò vivere teco. Tu sei uno di que’ pochi angioli sparsi qua e là su la faccia della terra per accreditare la virtù ed infondere negli animi perseguitati ed afflitti l’amore dell’umanità. (lettera dell’11 aprile)»
Jacopo,nel frattempo, si reca presso l’Università di Padova, dove farà conoscenza di una borghesia egoista ed arrogante, come era successo a Werther; egli, era infatti giunto in una città per studiare e per scappare dalla sua infelicità, causata dall’amore non corrisposto di Charlotte, ma trova una società falsa.
Al ritorno da Padova, Jacopo riesce a baciare Teresa, e decide di rivelare il suo amore verso la ragazza al padre di lei, il signor T., il quale, però, vuole che la giovane sposi Odoardo.
Jacopo, sconfortato, lascia una lettera all’amata, e decide di partire. Si recherà a Ferrara, Bologna, Firenze, Milano e durante i suoi viaggi avrà modo di conoscere Giuseppe Parini, un grande intellettuale dell’epoca. Giunto a Nizza, apprende la notizia che Teresa si sia sposata e decide di suicidarsi: è il destinatario, Lorenzo, a finire l’opera, descrivendo quello che succederà dopo l’ultima lettera di Jacopo: il giovane andrà a salutare la madre a Venezia, saluta gli amici, e dopo aver scritto una lettera per Teresa (che però non sarà mai spedita), si uccide pugnalandosi.
Dal modo in cui si uccide, possiamo notare delle differenze rispetto a Werther: Jacopo fa un gesto “eroico”, che fa capire come lui stesse soffrendo non solo a causa dell’amore verso Teresa, ma anche a causa della situazione in cui viveva la sua patria. Dopo il trattato di Campoformio, era infatti rimasto molto deluso delle azioni di Napoleone, e, come Catone l’Uticense, non vuole vedere la sofferenza della sua terra durante il nuovo governo austriaco. Il suicidio, dunque, viene affrontato diversamente rispetto a come lo aveva trattato Goethe: Foscolo lo fa vedere come un atto eroico, Goethe, invece, come una “via d’uscita alle sofferenze d’amore”.
Il concetto di patria è molto importante per Foscolo, ed è proprio questo elemento che lo differenzia da “I dolori del giovane Werther”. Ortis, infatti, si uccide non solo in quanto soffre molto per amore, ma in quanto il suo male derivava dalla delusione verso Napoleone che, aggiuntasi all’amore non corrisposto, ha portato al suicidio. Ci sono, in particolar modo, quattro passi in cui viene citato l’elemento della patria:
-Lettera “Da’ Colli Euganei, 11 ottobre 1797”: questa è la prima lettera scritta da Jacopo Ortis a Lorenzo, dove scrive «il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu ch’io per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito?». Qui si nota la sofferenza nelle parole di Ortis, il quale è stato “esiliato” da Venezia dopo il trattato di Campoformio. Lui è deluso del comportamento di Napoleone, che sembrava avergli promesso una patria che, prima ancora di essere nata, ha tradito.
-Lettera del 13 ottobre: qui si parla in particolar modo dell’esilio, infatti scrive «Merita poi questa vota di essere conservata con la viltà, e con l’esilio?».
-Lettera “Ventimiglia, 19 e 20 febbraio”: ci sono due punti in particolare dove Jacopo parla della patria. Il primo è «I tuoi confini, o Italia, sono questi! Ma sono tutto di sormontati d’ogni parte dalla pertinace avarizia delle nazioni. Ove sono dunque i tuoi figli? Nulla ti manca se non la forza della concordia» dove fa capire quale sia il problema che non permette all’Italia di nascere come unita: l’assenza di concordia. L’Italia, infatti, era frammentata, e senza la presenza di un’armonia era impossibile creare un’unità.
Nel secondo passo, cerca di motivare quest’assenza di concordia, facendo capire che gli stessi Romani non si comportavano bene con le popolazioni circostanti.
Scrive infatti: «Io guardando da queste Alpi l’Italia piango e fremo, e invoco contro agl’invasori vendetta; ma la mia voce si perde fra il fremito ancora vivo di tanti popoli trapassati, quando i Romani rapivano il mondo, cercavano oltre a’ mari e a’ deserti nuovi imperi da devastare».
Notiamo, inoltre, delle differenze per quanto riguarda il destinatario: Guglielmo, l’amico di Werther, compare solamente alla fine del romanzo, per spiegare che cosa fosse successo dopo la sua ultima lettera. Lorenzo, invece, fa notare più spesso la sua presenza, intervenendo dove mancano delle lettere, o spiegando cosa era successo nel frattempo.
Personalmente ho preferito il primo metodo, in quanto permetteva di conoscere di più il protagonista, anche immaginando quello che poteva succedere tra una lettera e l’altra, invece di saperlo attraverso un agente esterno.
Sono dunque molte le tematiche trattate dai due romanzi, che sembrano molto simili, ma che in realtà hanno varie sfaccettature diverse.