di Sofia Liverani, II F
Ciò che manca alla civiltà è il buio.
Disumanizzano le persone, le città. Le obbligano a non riposarsi mai, a tenere sempre gli occhi aperti, perfino di notte. La volta nera di luci cittadine non fa dormire gli uomini e li costringe a dimenticarsi delle loro fiamme protettrici, che una a una compongono intricati personaggi lassù, sopra le costellazioni di lampioni e finestre accese cui gli stolti sono ormai abituati; a causa del mancato silenzio della luce, arrivare fin lassù, dolce impresa, è sempre più impossibile, più di quanto sia stato secoli or sono.
Per me, poi, le stelle sono sempre state qualcosa di più di una serie di puntini bianchi che, in qualche misterioso modo, soltanto giacendo su uno sfondo scuro e lontano, affascina a tal punto da volerla fotografare – malamente, peraltro – e impostarla come sfondo del cellulare. Per me sono sempre state qualcosa cui anelare, da cui ero catturata e che volevo catturare, che volevo conquistare.
Ma come si può mai conquistare qualcosa di così incredibilmente lontano e incoscientemente bello soltanto con uno sguardo?
Catturare con gli occhi, ma che cosa, poi?
Di un volto, che cosa si cattura con uno sguardo? I lineamenti, forse. Un poeta catturerebbe le parole che si potrebbero utilizzare per abbozzare un ritratto; un pittore i dettagli fisionomici che costituiscono l’essenza tomasiana della persona in questione; un bambino catturerebbe le forme e i colori che userebbe sul retro di foglio riciclato, stampato in origine per questioni assai diverse.
Di una costellazione, forse si coglie l’illogico ordine della disordinata logica umana, ciò che non è e che può soltanto essere, il mito che si disegna col gesso bianco sul foglio notturno. Di un cielo intero, la sconfinatezza che gli occhi, come poi anche la mente, non riescono a circondare.
Ma di una stella? Che cosa si può catturare con un semplice sguardo di una stella? È più lontana di un parente che da sempre vive all’estero, mai conosciuto ma per qualche motivo mai sconosciuto, di cui si raccontano storie rocambolesche e rodomontate di gioventù a cui non si sa se credere o ridere; il profilo di una città mai attraversata che ti fa visita in sogno senza doversi allontanare da casa; un’opera di un artista famoso a lungo studiato sui libri e mai ammirato dal vivo, pennellata per pennellata, a viso aperto, lasciandoti osservare dal soggetto a tal punto da farti ingannare e scambiare i ruoli, solo per diventarlo tu, il soggetto.
Lenti su lenti, vetri su vetri, e il puntino si ingrandisce a malapena. Montature equatoriali e telescopi newtoniani, e il puntino osa addirittura diventare un punto. Non potrebbe ostentarsi, è modesto. Eppure, anche le donne più modeste, così come le più sfrontate, si lasciano conquistare, di tanto in tanto.
Ma una stella non puoi conquistarla, né con anni di studio, né con la caducità di uno sguardo. Tu lo sai come lo so io, eppure ce ne stiamo con occhi tracotanti alzati al firmamento per tentare la vana impresa di guadagnare il dominio sulla più piccola frazione di esso.
Ma gli stolti abitanti della città non possono nemmeno tentare il folle volo, se non hanno le acque in cui navigare.
L’immagine in evidenza è The Great Comet of 1680 Over Rotterdam, dipinto del 1680 di Lieve Verschuier.