di Sofia Liverani, II F
Alcuni dicono che Arte sia tutto ciò che è bello.
Costoro dicono una grandissima sciocchezza.
L’arte non deve essere bella, per essere Arte, basta che ti faccia sentire qualcosa: deve muoverti, commuoverti, farti scattare un meccanismo dentro, quasi si rompesse un’ampolla con la tua rigidità d’animo. Deve farti sentire vivo. Essa stessa deve essere viva, per parlarti.
Essendo poi l’Arte prodotto dell’uomo, si potrebbe dunque dire che Arte è tutto ciò attraverso cui l’uomo si esprime: pittura, scultura, disegno, musica, poesia, prosa, danza, teatro, cinema, moda, oreficeria, e chi più ne ha più ne metta. Elencare tutte le arti diventerebbe a questo punto una contorta e discutibilmente interessante partita a Nomi, cose, città. Io eviterei, anche perché perderemmo il cuore del discorso: che cos’è l’Arte, quella vera.
Vogliamo dirlo? Possiamo? Osiamo? L’Arte nessuno sa veramente che cosa sia.
Tranne gli artisti.
È una linea sottile e calda di emozioni astratte e al contempo fisicamente tangibili: ti brucia, ti gela, ti pietrifica, ti rende difficile contenersi in un corpo. Non la si vede, non la si crea: la si percepisce dentro. È un nucleo instabile delle più intime e confuse riflessioni nitidamente stese sulla pasta con cui si fanno i ravioli: a piccole dosi, si possono godere in un involucro bello ed elegante. Alcuni li apprezzano anche nel brodo.
Gli artisti lo sanno bene cos’è l’Arte. È ciò di cui si vive. È ossigeno, braccia materne di conforto, un falò al quale riprendersi dal gelo, un amico cui raccontare i sogni e gli incubi.
È un fazzoletto in cui piangere. Lo stesso fazzoletto in cui tuo padre si è nascosto al tuo matrimonio per non mostrarsi commosso, anche se lo vedesti. Lo stesso fazzoletto che sventolavi per salutare quella tua amica che ormai chissà quanti anni fa partì per Bruxelles. Quello stesso fazzoletto su cui da adolescente ricamasti timidamente le iniziali, ma di cui oggi vai fiero.
Molti lo tengono nel taschino, il fazzoletto: lo sfoggiano, lo ostentano, e spesso non è Arte e gli artisti lo sanno perché loro non hanno paura di essere grandi. Non si prendono la briga di tenerlo nel taschino. Loro lo hanno sempre in mano. Lo stringono. Le nocche sbiancano. Se lo perdessero, sarebbero persi con esso. Sarebbero morti.
L’Arte, forse, è un impulso. Un impulso naturale, lo chiamerebbe un certo artista. Un impulso certo irrefrenabile che, quando in piena, fa annegare la mente con strazio, solo per farla poi risorgere e ascendere.
“Poesia” viene da ποιέω, “fare”. Si tratta di un “fare” che nasconde in bella vista un’accezione che parla di creazione, e che non si cura di come viene fatto, come fa invece πράσσω. Un poeta è infatti chi, scrivendo, mette al mondo qualcosa, una poesia, un’idea in versi, un figlio. Un poeta, un artista, è una madre che partorisce.
Forse allora l’Arte è una creazione, un figlio. Un figlio che sa dare grandi soddisfazioni. Ma siamo in grado di elevarci a creatori? Si sa che il Creatore è uno. Non è tracotante da parte nostra? Forse. Ma forse ci dimentichiamo che, se Gli assomigliamo anche solo un poco, non possiamo dubitare del fatto che Dio è il più grande artista di tutti.